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Licenziamento Individuale – Post Jobs Act

Il licenziamento individuale è un recesso unilaterale del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro da non confondersi con le dimissioni che sono il recesso unilaterale del rapporto di lavoro da parte del lavoratore.


Nel diritto del lavoro esistono tre diverse tutele: la tutela reale, la tutela obbligatoria e le tutele crescenti introdotte dal Decreto legislativo numero 23 del 4 marzo 2015.


L'articolo 2 sancisce che in caso di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in forma orale la pena è la reintegra sul posto di lavoro del lavoratore, pertanto la tutela è reale ed il rapporto si risolve solo nel caso in cui il lavoratore, dopo 30 giorni dell'ordine di reintegra, non riprenda servizio. Inoltre il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a seguito del licenziamento stabilendo un'indennità pari all'imponibile TFR dell'ultima busta paga, dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra, dedotto del totale delle somme percepite, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il datore di lavoro è condannato per il medesimo periodo al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Infine, fermo restando il diritto al risarcimento del danno, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegra sul posto di lavoro, un'indennità pari a quindici volte l'imponibile TFR dell'ultima busta paga. Tale richiesta, che deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia del giudice, determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e l'indennità non è assoggettata a contribuzione previdenziale.


Il D.lgs. 23/2015 (cd. Jobs Act) si applica a tutti i lavoratori con qualifica di operai, impiegati o quadri assunti con contratto a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015.

Il licenziamento per giustificato motivo e giusta causa è trattato nell'art. 3 e prevede che nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due volte l'ultimo imponibile TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità. Tale tutela è stata denominata a tutele crescenti, infatti a dispetto dell'art.18 L.300/1970 la tutela reale ivi presente è stata sostituita con queste tutele crescenti che non prevedono più la reintegra in tutti quei casi in cui la sanzione poteva ridursi ad una sanzione conservativa del posto di lavoro e viene legato l'importo del risarcimento alla sola anzianità di servizio nell'azienda, fatta eccezione per i lavoratori in regime d'appalto in cui viene presa in considerazione tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impegnato nell'attività appaltata.

Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, vige la tutela reale, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegra del lavoratore sul posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria pari all'imponibile TFR dell'ultima busta paga, dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici volte l'imponibile TFR dell'ultima busta paga. Il datore di lavoro è condannato al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, senza però applicazione di sanzioni per omissione contributiva. Infine fermo restando il diritto al risarcimento del danno, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegra sul posto di lavoro, un'indennità pari a quindici volte l'imponibile TFR dell'ultima busta paga. Tale richiesta, che deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia del giudice, determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e l'indennità non è assoggettata a contribuzione previdenziale.


Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia stato intimato senza il requisito fondamentale della motivazione, vigono le tutele crescenti, infatti il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una volta l'imponibile TFR dell'ultima busta paga per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, su cui quindi grava l'onere della prova, accerti la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle tutele di cui agli articoli 2 e 3.


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